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Immagine del redattoreFabio D'Armento

La conoscenza di sé, un presupposto essenziale per chi ha ruoli di coordinamento e leadership.

Spesso accade che le cose che rimproveriamo agli altri, sono quelle che non abbiamo il coraggio di far notare a noi stessi. Per riconoscere e sviluppare il reale potenziale professionale dei collaboratori, vale la pena soffermarsi un po' su sé stessi.


Quando si tratta di avere a che fare con altre persone, soprattutto nella fase della conoscenza, bisognerebbe adottare un principio di cui gli antropologi sono maestri. Si tratta del relativismo culturale che si fonda sul riconoscimento del valore della conoscenza, dell'etica o dello stato sociale ma solo in modo relativo e mai oggettivo o assoluto.

Un po' forzatamente potremmo dire che punta ad un'analisi imparziale di quanto analizzato.

Bisogna quindi liberarsi da tutti gli schemi, dalle proprie inclinazioni e restituire un riscontro obiettivo.

È un parallelismo applicabile in molti contesti: pensiamo ai "pregiudizi" che si regalano gratuitamente ad un cliente ancor prima che ci saluti o ad una persona taciturna e timida in una sessione formativa.

Quando si gestiscono delle risorse, dobbiamo prima conoscere alcuni aspetti di noi stessi per evitare interferenze con le nostre abitudini, frustrazioni o convinzioni che inficeranno la produttività del gruppo o persona.

Il leader, se conosce bene sé stesso, imposta con gli altri un rapporto sano basato sull'umiltà.

Anche in questo caso, il teatro ci mette a disposizione una sua grande peculiarità: provare a lasciarsi andare nei confronti propri e degli altri. Si tratta di acquisire fiducia e intimità con sé stessi rendendo molto più sereni e proficui i rapporti. Pensandoci anche senza troppo impegno, non sono mai stati esigui i commenti che descrivono il proprio capo come arrogante, vanitoso o presuntuoso.

Al di là dell'obiettività impiegata in questa valutazione, di fatto si tende ad avere e manifestare una certa vanità o immodestia. Ecco quindi che, attraverso il teatro, possiamo sviluppare la capacità di accettazione dell'altro, mettersi in gioco in prima persona, conoscere lo spazio, capire il proprio livello di disponibilità, di concentrazione o di energia.

Come ho già ribadito in altre occasioni, non è importante il risultato finale di un esercizio teatrale ma il processo che lo sostiene.

Anche solo la sensibilità di considerare questo aspetto in ambito formativo dimostra una certa predisposizione ad essere costruttivi e a riservare un peso notevole al senso del gruppo di lavoro. Ecco perché le aziende dovrebbero guardare con interesse questo livello di formazione in quanto muove degli aspetti personali che vanno a incidere in ambito lavorativo. E quando è messa in gioco la crescita delle persone non ci si può esimere.

Come sempre ecco qualche esempio che, coerentemente a quanto detto finora, ci mette nelle condizioni di cogliere e vivere aspetti significativi per il nostro ruolo di leader.

Esistono miriadi di esercizi con l'intento di stimolare la conoscenza di sé stessi.

Alcuni si compiono da soli, altri in gruppo.

Per misurare concentrazione, percezione dell'altro e ascoltare la propria energia, può essere sufficiente un breve ma efficace esercizio. Dura pochissimi minuti e pone in discussione alcuni elementi che guardiamo in dettaglio.

- Guardandosi negli occhi, con gesti e testo condivisi dal gruppo, il formatore guida i partecipanti che hanno l'obiettivo di trasferirsi scambievolmente energia a distanza. Ad esempio allungando le braccia o attraverso un cenno del capo a cui far seguire una frase con una certa intenzione

- Si sceglie il compagno o collega liberamente senza seguire un ordine

Si crea un'inevitabile complicità di gruppo.

Si può chiedere ad uno dei partecipanti di raccontare un episodio a occhi chiusi e far interagire liberamente il resto del gruppo. Sempre con gli occhi chiusi, al termine del racconto, punterà il dito verso un posto preciso e spiegherà il perché. Da qui un dibattito di pochi minuti che, opportunamente guidato dal formatore, fa soffermare la discussione sulla percezione e creazione di energia comune, sulla potenza dell'ascolto, sulla sensazione trasmessa dall'altro.

Il formatore veicolerà tali considerazioni su argomenti propri del lavoro e sull'importanza di riconoscere e magari valorizzare certe variabili.

Quando si parla di teatro si pensa sempre allo spettacolo da portare in scena. Nella formazione si tratta invece di vivere pienamente il momento dell'esercizio, interiorizzando le emozioni e considerando alcuni aspetti che la frenesia non ci permette spesso di apprezzare.

E, compatibilmente con le tempistiche, notoriamente ristrette, basta davvero poco per instillare qualche punto di riflessione che, agendo al livello emotivo, ognuno trasferisce sul proprio quotidiano lavorativo.



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