Per chi si occupa di vendita a tutti i livelli, sa quanto sia fondamentale instaurare una relazione di fiducia con il cliente. Quella basata solo sul soddisfare l'esigenza, è una vendita di serie B.
Saper riformulare e ampliare la necessità, è quanto garantisce la sopravvivenza di domani ma serve un coinvolgimento emotivo che parte dall'Azienda.
Il principio secondo su cui l'emozione giochi un ruolo fondamentale nella vendita è vecchissimo. Personalmente ne ho sentito parlare almeno quindici anni fa. Di fatto è così e vale sia on sia off line. Vendere è un'arte che non tutti sono in grado di mostrare.
Nel Retail in particolare, la responsabilità che si delega ad un'addetta vendita è altissima.
Intanto perché, per motivi puramente di profittabilità, presidia spesso da sola il punto vendita e poi perché rappresenta tutto il background aziendale faticosamente costruito per anni.
Sul ruolo della "commessa" ho già avuto modo di tenere nel 2016 una lezione presso l'Università di Bologna dal titolo "Elogio della commessa, l'interprete delle attività retail": marketing, supply chain e gestione del margine trovano (o dovrebbero trovare) la loro massima fruttuosità proprio nel lavoro del venditore.
Fatta questa doverosa premessa, torniamo al principio della vendita emozionale. Se il venditore deve esprimere e soprattutto far riconoscere al cliente una serie di emozioni che devono conquistarlo, lo stesso deve essere inserito in un contesto lavorativo in cui può esprimere la propria emotività.
Sono ancora tante le realtà in cui oggi si fa fatica, o peggio si rinuncia, a trasmettere la propria insoddisfazione o malessere e la prima vittima di questa privazione è il conto economico.
Bisogna calibrare questo concetto e spendere qualche parola a riguardo. L'hashtag #ilovemyjob che su Instagram supera i 30M, è un indicatore importante che rileva una sensibilità crescente sul tema. La ricerca della qualità di vita si sta intrecciando con la ricerca della qualità sul lavoro e le nuove generazioni manifestano ostinatamente questa predisposizione su cui non si può (e non si deve) tornare indietro.
Se non emoziono, non vendo ma per emozionare devo poter esprimere le mie emozioni.
Cosa deve fare dunque un'Azienda che vuole "dar voce" alle emozioni dei propri collaboratori?
Già il fatto che si ponga questa domanda è un passo essenziale e per moltissime realtà, innovativo.
Non serve un investimento economico, serve un investimento emotivo.
Segue qualche esempio pratico che come sempre mi piace lasciare negli articoli del mio blog.
Intanto deve organizzare appuntamenti cadenzati in cui si crea la possibilità di esprimere la personale condizione, avere l'opportunità di dire la propria e discutere apertamente sui temi che impediscono il proprio benessere. Un appuntamento che non è di valutazione ma di ascolto.
Siccome dobbiamo tenere sotto vigile attenzione la produttività, la capacità di un manager in questo contesto, è quella di considerare i numeri come prima ma non unica guida nell'approfondire e ascoltare la condizione lavorativa.
Mi è capitato molto spesso che l'emotività (e la rispondente positiva azione in vendita) sia emersa grazie al coinvolgimento delle risorse: renderle partecipi alla redazione di un piccolo manuale d'uso, valorizzare o circostanziare le idee sono solo due esempi pratici con cui si riesce a spolverare bene il contenitore emotivo.
In ogni vendita la parte emotiva è quella che più conquista e rasserena il cliente. Il prezzo è la parte razionale ma da sola renderebbe l'acquisto asettico senza il grande vantaggio di fidelizzare.
In altri termini bisogna costantemente rinnovare il fabbisogno emotivo che sostiene il benessere sul lavoro. E non sempre bisogna trovare delle ricette extra. Regalare un'emozione vuol dire anche chiedere che cosa ha suscitato l'ascolto di un brano musicale durante un'imprevisto confronto con il tuo collaboratore.
E quanto c'entra questo con chi vende? Tantissimo.
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